associazione Salviamo il Salvabile

Immagini del tratto a doppia arcata dell'Acquedotto leopoldino

 

 

L'apparizione del ponte a doppie arcate sovrapposte è impressionante per l'altezza, la maestà della struttura e la percezione di quale maestria, impegno, sforzo abbia richiesto la sua costruzione. L'arcata inferiore appare solida e massiccia, radicata per colore, materiale, continuità col terreno sottostante. Quella superiore svetta come una montagna, vera, tra queste colline colligiane e livornesi: elevata verso il cielo e insidiata dalla vegetazione appare come una testimonianza di fede umana, qualsiasi fede.

 

     

Una porta-cancello-sentinella. Ai suoi lati il vuoto. Non è un semplice sbarramento. Rappresenta, invece il confine acrobatico tra due mondi: di qui la terra, di là la sospensione nel cielo.

 

 

In qualche punto un ramo, agitato dal vento, ha percosso come per ripicca il bastione di pietra che, per l'insistenza, ha ceduto. Quanto resisterà questa testimonianza del lavoro, della fatica, della caparbietà costruttiva dell'uomo?

 

 

 
 

Per accedere al "ponte dalla doppia arcata" il tragitto dell'Acquedotto leopoldino attraversa prepotentemente i terreni percorrendo più o meno profonde ed estese gallerie. L'entrata di questa promette una discreta profanazione della collina, un mondo di refrigerio, rumori della terra e mistero.

 

 

 

Quel lontano puntino bianco ne è la remota  uscita sull'orlo di un altro "botro". Superando anche di poco l'entrata si ha l'impressione di solidità, ingegneria, lavoro di scalpellini e bellezza dell'opera umana.

 

 

I muri dei massicci pilastri  sono aggrediti, invasi, abbracciati da tenaci rampicanti che in molti punti pregiudicano la solidità della pietra. L'humus del fogliame caduco diventa terreno fertile per l'insediamento, tra le fessure e nelle cavità, di veri alberi, come il fico, le cui radici scavano, divellono, distruggono e precipitano parti consistenti dell'opera. L'immagine è il simbolo della necessità di protezione, e cura del monumento che merita senza ombra di dubbio di essere conservato per la sua bellezza e per il significato di testimonianza che rappresenta.

 

 

L'immagine delle arcate viste dal basso. Scure, silvestri quelle basse, ardite quelle superiori, è l'emblema di una "fragile solidità". Và ricordato che nulla di ciò che l'uomo costruisce sopravvive abbandonato a se stesso. Tutto ritorna terra e detriti informi, come e più inerti di quelli da cui l'opera ha avuto forma. Solo la natura vive, muore e si rigenera. Sembriamo abitare questo pianeta per conciliare le due realtà, quella eterna e la nostra così caduca. Facciamoci un obbligo della conservazione di manufatti umani, soprattutto di fronte ad opere ardite e coraggiose come questo Acquedotto leopoldino

 

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